Hai mai pensato che se un problema non viene risolto, il problema sta nell’impostazione del problema?
Scioglilingua? Vediamo di tradurre.
Una storia mi sta a cuore più di altre quando affronto in aula questo tema. Una storiella, in realtà, che potrebbe benissimo non essere vera; ma a noi non importa, perché è il messaggio che ci interessa.
Si racconta che negli anni ’60, nel periodo che veniva considerato l’apice dello sviluppo tecnologico, con navi spaziali e conquista della Luna, proprio in orbita la NASA riscontrò un problema, semplice ma basilare. Le penne che avevano in dotazione non scrivevano, per il semplice fatto che la mancanza di gravità in orbita non permetteva all’inchiostro di scendere fino alla punta. Misero quindi al lavoro un pool di ingegneri, che dopo quattro mesi e qualche milione di dollari investito creò una penna spaziale, che poteva scrivere in assenza di gravità, sottosopra, su qualsiasi superficie compreso il vetro, e in un arco di temperatura che andava dai -50° ai +130° celsius.
I russi usarono una matita.
Una matita.
Eliminiamo per un momento tutte le obiezioni scientifiche e storiche, che adesso interessano poco, e leggiamo questa storia nel modo in cui deve essere letta.
Dove ha sbagliato la NASA? Semplicemente nell’impostazione della domanda che si sono posti. A fronte del problema riscontrato (la penna che non funzionava) si sono chiesti:
come possiamo scrivere con una penna nello spazio? La domanda che invece va posta è diversa: come possiamo scrivere nello spazio?
La penna è un mezzo, che ci aiuta a raggiungere l’obiettivo. Scrivere è l’obiettivo. Quando noi confondiamo la penna con l’obiettivo, ci leghiamo le mani da soli.
Quando cambia la domanda, cambia a cascata tutta la serie di risposte che ci diamo. E di lì si aprono mondi inesplorati di possibilità. Detta in altre parole, il Problem Setting definisce il Problem Solving.
Torniamo a noi; al coronavirus, all’emergenza, alla difficoltà di reperire respiratori. È un problema, su questo non ci piove; quindi va trovata una soluzione. Impostiamo il problema: come ottenere respiratori per far respirare ossigeno alle persone in terapia? Ora definiamo le soluzioni: convertire aziende per fabbricarli, chiederli in donazione da altri paesi, chiederli a pagamento da altri paesi, e forse qualcos’altro.
Ora proviamo a fare una magia, e modifichiamo l’impostazione del problema: come far respirare ossigeno alle persone in terapia?
Cambia tutto. Tutto.
Il respiratore è un mezzo: quale altro mezzo possiamo utilizzare? Citando lo stra-usato film Apollo 13, non ci interessa per cosa un oggetto è stato costruito, ci interessa cosa può fare.
Ed ecco che spunta una maschera per snorkeling. Una maschera per snorkeling! Ma a chi può venire un’idea come questa? Semplice, a chi si è posto la domanda corretta. Una maschera per snorkeling è un aggeggio che serve per respirare. Ops: soluzione trovata.
Grazie allora all’intuito dell’ex primario ospedaliero Renato Favero, che ha osato porsi la domanda corretta, e grazie al pragmatico e proattivo Cristian Fracassi, che con il suo team di Isinnova ha dimostrato più di una volta come la rapidità faccia in questi casi la differenza.
Per noi non può essere altro che fonte di ispirazione, per tutte le prossime volte in cui ci troveremo bloccati davanti ad un problema.
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